lunedì 18 luglio 2016

PERCHE' IL PESCE AZZURRO E' AZZURRO?

Foto dal web

Vi siete mai chiesti perché il pesce azzurro è azzurro? Bella domanda eh?
Qualunque testo relativo al  pesce azzurro  esordisce specificando che tale definizione non ha valore biologico o scientifico ma  identifica varie specie che si caratterizzano per una colorazione blu-azzurro sul dorso, bianco-argentea sul ventre, con caratteristiche organolettiche e peculiarità nutrizionali simili, di facile reperibilità e prezzo contenuto.
Pochi però spiegano il perché di questa colorazione.
Ma c'era un'altra domanda che mi assillava: da quando abbiamo iniziato ad utilizzare tale definizione?


Il motivo è semplice, la natura non lascia niente al caso: azzurri sono i pesci che vivono nella colonna d’acqua, cioè che non hanno mai rapporti con il fondo, né per nutrirsi né per riprodursi o nascondersi, con una colorazione del corpo che permette loro di mimetizzarsi e cioè fianchi e dorso azzurro-verde e pancia argentata. Questo perché se un predatore è posizionato in alto rispetto al pesce azzurro lo confonde con lo scuro del fondo del mare, mentre se il predatore è sotto, viene ingannato dall’argento che riproduce il riflesso della luce del sole. Inoltre i pesci azzurri hanno abitudini gregarie e vivono a profondità non elevate, dove cioè l’acqua è più azzurra.
Ma i pesci azzurri non sono semplicemente azzurri, la loro colorazione vira dal blu al verde, al viola così come il colore del mare.
Vincent Van Gogh, estasiato e ispirato dalla variopinta livrea di uno sgombro, ne paragonò i colori a quelli del Mediterraneo e lo dipinse anche a parole:
“Colore cangiante, non sai mai se sia verde o viola, non sai mai se sia azzurro, perché il secondo dopo il riflesso cangiante ha assunto una tinta rosa o grigia”



Sarde, sgombri, acciughe, palamita, leccia stellata e aguglia (quella che sembra un'anguilla con il becco affusolato)


Parliamo di ospiti abituali dei nostri mari, anche se alcuni non esclusivi, come acciughe, sardine, sgombri, ricciole, lecce, palamite e tonnetti: ala lunga, alletterato e biso o tombarello e specie meno note ma che ben conoscono le popolazioni rivierasche del Mediterraneo: aguglie, alose o cheppie, cicerelli, lampughe, alacce, spratti, sugarelli o suri, costardelle.
L’appartenenza alla categoria del tonno rosso è controversa perché ne avrebbe tutte le caratteristiche ma, dal momento che il pesce azzurro è sempre stato anche sinonimo di pesce di poco valore economico, il tonno è un pesce pregiato con un valore commerciale elevato, quindi è azzurro di nome e di diritto ma non di fatto.
Il pesce spada e il pesce sciabola si trovano spesso, erroneamente, annoverati fra gli azzurri ma il primo è un pelagico non gregario e il secondo, detto anche spatola, è un pesce di fondale. Anche da un punto di vista organolettico presentano caratteristiche diverse dai pesci azzurri.
L’uso di identificare questo gruppo di pesci come “azzurri” si è diffuso durante gli anni ’60 del secolo scorso, in seguito a una campagna ministeriale volta a promuoverne il consumo, sia per ragioni salutari e nutrizionali, sia perché, data la loro abbondanza nei nostri mari, si trattava di una fonte facilmente reperibile e poco costosa quindi potenzialmente destinata al largo consumo.
Ma la definizione sembra essere ancora più antica.
Nel 1661 il governo papalino impose le “leggi suntuarie” agli abitanti del ghetto romano, ovvero non consentiva loro di consumare cibi “lussuosi”: “in tutti i conviti si proibiscano tutte sorte de insalate suntuose, com’anco il pesce di qualunque sorte, eccettuato ch’alici e azzurro”.
Nel Codice della cucina livornese di Luciano Bezzini e Umberto Creatini, si legge, nel capitolo “L’uomo pescatore”, che lungo i litorali castagnetani: un genovese, Biagio Marcioni, introdusse nel 1763, per conto dei Gherardesca, un caldaione per tingere d’azzurro le reti da acciughe. In tali reti finivano anche sardine e altri piccoli pelagici. Il colore delle reti sembrerebbe dunque confermare la denominazione.

Acciughe o Alici

Molti azzurri, soprattutto di piccola taglia, venivano e vengono anche definiti “pesci poveri” o “dimenticati” perché snobbati dal mercato a favore di pesci più nobili. Eppure i pesci azzurri rappresentano una parte importante della storia e della cultura gastronomica italiana, che si sta riscoprendo, attraverso una sempre maggiore attenzione al recupero delle tradizioni regionali e a continue campagne di sensibilizzazione, volte alla diversificazione del consumo dei prodotti ittici, per favorire un più efficiente sfruttamento delle risorse marine con notevole riduzione del pesce scartato e ricadute positive sulla tutela della biodiversità marina.




SANI COME PESCI
Questa proverbiale espressione si addice in modo particolare ai pesci azzurri, alimenti ideali per una dieta sana garantita da un buon apporto proteico, poche calorie e proprietà protettive per l’organismo.
Le loro carni, ricche di acidi grassi polinsaturi, sono molto nutrienti e digeribili ma altamente deperibili se non consumati freschi. Questa è la principale ragione per cui questi pesci sono stati da sempre sottoposti a conservazione o sotto sale o sott’olio o sott’aceto (carpione, scapece o saor).
Le star di questi grassi sono gli omega3, derivanti dalle alghe e dal plancton di cui si nutrono i pesci azzurri; mantengono elastiche le membrane delle cellule, proteggono l’organismo da infarto, angina e arteriosclerosi riducendo l’accumulo di trigliceridi e colesterolo nel sangue; prevengono i tumori al pancreas e al colon; favoriscono un adeguato sviluppo del cervello e della retina in età fetale e nei primi anni di vita del bambino, infine combattono l’invecchiamento precoce, il diabete e la colite.
L’apporto proteico del pesce azzurro, inoltre, è paragonabile a quello delle carni bovine e superiore a quello dei pesci bianchi.
Notevole è il contenuto di sali minerali come calcio, fosforo, potassio, ferro, fluoro e zinco, vitamine A, B e D e costituiscono una preziosa riserva di iodio e selenio.
Per questi motivi, dietologi, nutrizionisti e igienisti invitano ad un consumo frequente e costante di pesce azzurro sin dall’infanzia, preferendo i pesci piccoli, che, rispetto ai grandi predatori, accumulano meno sostanze contaminanti come il mercurio.

DI COTTE E DI CRUDE
Attenzione al crudo! Il pesce azzurro, così come altri pesci, può essere contaminato da diversi microrganismi che provocano infezioni o intossicazioni se il pesce viene consumato crudo, ma il rischio maggiore si chiama Anisakis, un pericoloso parassita, purtroppo molto diffuso, che può causare seri danni al nostro organismo.
Una circolare del ministero della sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo al suo congelamento preventivo. Infatti l’anisakis e le sue larve muoiono dopo 96 h a -18° C, 60 h a -20° C, 12 h a –30° C, 9 h a -40° C oppure in seguito a cottura al raggiungimento di 60° C al cuore per almeno un minuto.
NB: le marinature con limone o aceto non debellano il parassita e il congelamento preventivo è necessario anche nei casi di scottature veloci in cui il cuore rimane crudo.
Per quanto riguarda le tecniche e i tempi di cottura, il pesce azzurro ha carni tenere e delicate, ed ha un alto contenuto di umidità che non bisogna disperdere con cotture spinte che renderebbero le carni stoppose e asciutte.
Per una cottura ottimale, l’ideale è l’utilizzo del termometro, da inserire nel cuore del pesce a contatto con la lisca: sarà pronto quando la temperatura raggiungerà i 65 °C . In caso di cotture affogate o brasate, meglio non far bollire il liquido ma mantenerlo a una temperatura dolce intorno agli 80°C.
Gli azzurri più grassi come sarde e sgombri si prestano bene a cotture alla griglia o al cartoccio, così come quelli di taglia più grande come palamite, tonnetti e ricciole, tagliati a tranci.
I più piccoli come acciughe e cicerelli danno il meglio di sé in frittura.
Da non dimenticare, come già detto sopra, gli usi conservieri di questi pesci: sotto sale, sott’olio, sott’aceto (carpione, scapece, saor).

FORSE NON TUTTI SANNO CHE
Anche le aringhe sono annoverate fra i pesci azzurri ma al contrario di molti azzurri che popolano sia il Mediterraneo che altri mari e oceani, l’aringa è prerogativa dell’Atlantico settentrionale e del Mare del Nord.
Sin dal Medioevo ha rappresentato una grande ricchezza commerciale ed era uno dei capisaldi dell’alimentazione delle popolazioni del Nord Europa.
Come altri prodotti nordici, quali baccalà e stoccafisso, sono approdate ai lidi mediterranei grazie ai fiorenti commerci marittimi, già nel 1600, e si sono radicate profondamente nella cucina popolare e tradizionale italiana, rappresentando insieme a legumi, polenta e patate, veri salvagente contro le carestie.


Il sugarello o suro è un pesce poco conosciuto e poco apprezzato in Italia. A Livorno, seppur città di mare, viene etichettato in modo dispregiativo come “un pesce da dare ai gatti” mentre per i raffinati gourmet giapponesi è un boccone ghiotto da sushi e sashimi.

Il
papalino (o spratto) deve il suo nome al fatto che un tempo veniva copiosamente pescato lungo le coste romagnole e marchigiane, appartenenti allo Stato della Chiesa, cioè “papali”.
L’
alosa o cheppia è un pesce pelagico che compie migrazioni riproduttive in acque interne, risalendo i fiumi per la deposizione e fecondazione delle uova. Un tempo, dall’Adriatico risalivano il Po fino a Torino!



Fonti: Pesce Azzurro, Arsenale Editore
Alan Davidson, Il Mare in Pentola, Pesci, crostacei e molluschi del Mediterraneo, Mondadori Editore
Il Codice della Cucina Livornese, Umberto Creatini e Luciano Bezzini, Aldo Santini, Enrico e Claudio Guagnini. Ediz. Consorzio Tirreno Promotour, 2002
D.ssa Silvia Gambaccini, biologa marina Lega Coop Toscana www.legacooptoscana.coop
Dott. Giacomo Marino, biologo marino Arpat-area vasta costa – settore mare www.arpat.toscana.it
www.lacucinaitaliana.it
cucina.corriere.it
www.ittiofauna.org
www.cibo360.it














Nessun commento:

Posta un commento

HANNO ABBOCCATO ALL'AMO